LA POLVERE D’ORO ED IL KINTSUGI

Il Kintsugi è un’antica arte giapponese di riparazione degli oggetti che hanno subito una rottura con una lacca (urushi) per saldarne i frammenti e la successiva copertura e messa in rilievo delle crepe con polvere d’oro che permette di sviluppare le proprie capacità di resilienza trasformando le ferite in punti di forza.

Riparare con l’oro

L’antichissima arte del kintsugi trova fondamento nella filosofia giapponese del wabi-sabi, che consiste nella serena accettazione dell’imperfezione, della transitorietà e della semplicità della vita.

I termini “kin” (oro) e “tsugi” (riparazione) individuano quindi la tecnica di “riparare con l’oro”; un procedimento lungo e complesso che si svolge in più fasi e che richiede estrema precisione, un vero e proprio lavoro di cesello così che l’oggetto sottoposto al restauro risulta impreziosito ed assume un carattere di unicità divenendo una vera e propria opera d’arte nella quale le crepe, che in precedenza erano punti fragili da nascondere, come le ferite emotive, vengono invece valorizzate con l’oro e quindi trasformate in punti di forza.

Il Kintsugi può rappresentare la metafora di un percorso: l’individuo che può sentirsi letteralmente “a pezzi” riesce ad acquisire gradualmente consapevolezza delle proprie ferite interne, inizia ad accettarle e se ne prende cura rendendole punti di forza.

Massimo Recalcati in relazione all’esperienza del Kintsugi nel suo libro Mantieni il bacio:

“Nell’arte del Kintsugi vediamo in atto una straordinaria operazione: il vaso è ancora quello di prima anche se non è più quello di prima. Ha cambiato immagine, è un altro vaso, eppure è costruito sui resti del vaso rotto. Nonostante il trauma della sua rottura, grazie alle mani sapienti del vecchio artigiano è divenuto l’occasione per una nuova creazione. I punti di rottura sono stati dipinti d’oro; le cicatrici sono divenute poesie. In questo senso l’esperienza del perdono è un’esperienza di resurrezione. L’amore che pareva morto, finito, gettato nella polvere, senza speranza, ritorna in vita, ricomincia, riparte”.

Origine della polvere d’oro

La polvere d’oro utilizzata nel Kintsugi ha origine e sviluppo nell’antichità.

La dimensione dei grani e la purezza sono i principali fattori che determinano la qualità della polvere.

Già nel 5° e 6° secolo a.C. in Asia, erano stati sviluppati metodi meccanici e chimici che consentivano la produzione della polvere d’oro su piccola e larga scala. Abbiamo evidenza di tale sviluppo in alcuni testi del periodo rinvenuti in India scritti in lingua Sanskrit ( di seguito alcuni titoli: Mahabharata, Visnudharmottara, Purana, Mansolläsa, Silparatna). I metodi meccanici descritti nei testi prevedono prevalentemente l’ablazione dell’oro dalle pietre rinvenute lungo i corsi dei fiumi con degli strumenti dedicati e il passaggio, più volte al setaccio, dell’oro esportato dalla superficie delle pietre, sino ad ottenere una polvere d’oro libera da impurità. I metodi chimici prevedono anch’essi una fase iniziale di ablazione dell’oro, che così ottenuto viene miscelato con altre sostanze che consentono la totale separazione dell’oro dalla pietra. I grani d’oro ottenuti erano di dimensioni notevoli e non sempre privi d’impurità.

Oggi  invece i metodi produttivi si sono notevolmente evoluti sino ad ottenere grani d’oro di piccolissima dimensione e privi d’impurità. Per dare un’idea delle dimensioni standard delle particelle di polvere esse sono nell’intervallo di -325 mesh, -100 mesh, 10-50 micron e submicron (<1 micron) ossia nano particelle.

Le tecnologie impiegate sono estremamente costose e complesse di seguito le principali: deposizione chimica da vapore e di deposizione fisica da vapore, processi con fascio di elettroni e termici (raggio elettronico), evaporazione organica a bassa temperatura , deposizione organometallica e chimica da vapore.

 

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A cura dell’Ufficio Stampa di Confinvest GV