Cina e Russia: l’incessante spinta alla de dollarizzazione

Le dispute commerciali tra Cina ed Usa non sembrano trovare un punto di accordo, con il Presidente Trump che ha confermato l’entrata in vigore venerdì di nuove sanzioni per 200 miliardi di dollari e con la Cina che si prepara a contromisure.

L’inasprimento dei dazi statunitensi e la messa al bando della tecnologia del colosso cinese Huawei hanno contribuito ad accelerare la cooperazione sino-russa sulle reti di ultima generazione.

Intanto la Cina si muove anche su un altro fronte, ovvero quello di sostituire parte delle proprie riserve valutarie (in particolare dollari) con riserve aurifere.

A livello politico-diplomatico Cina e Russia conducono una comune battaglia contro quello che definiscono l’unilateralismo degli Stati Uniti.

ll processo di de-dollarizzazione interessa non solo il gigante asiatico; infatti molte altre banche centrali, tra cui la Russia, hanno avviato un processo di riduzione delle riserve in dollari a favore di altre valute euro e yuan ed oro.

Se la Cina continuasse ad accumulare lingotti d’oro, potrebbe diventare il più grande acquirente d’oro dopo la Russia.

La decisione della Russia di ridurre la presenza di dollari nei loro forzieri non è inattesa, complice le continue tensioni tra i due paesi e le sanzioni che hanno interessato molti oligarchi russi vicini al Cremlino.

Questa nuova partnership ha creato un’instabilità dell’asset economico che ci ha governato per tutti questi anni. Questo grande inasprimento dei rapporti tra queste tre grandi potenza, ha portato un rialzo dell’oro mai visto negli ultimi sei anni.

L’erosione della “fiducia negli Stati Uniti” e il suo dollaro ha fatto si che le banche centrali continueranno a comprare oro su base regolare. Ci saranno ulteriori accordi intergovernativi per bypassare il dollaro USA nel commercio bilaterale e l’aggressiva politica estera di Donald Trump andrà ad accelerare tutte queste dinamiche.

 

Oggi il prezzo dell’oro è stabile a 1.414 dollari l’oncia. Il prezzo è già aumentato di oltre il 10% nel 2019 e di circa il 25% rispetto all’estate scorsa.

Dopo anni di consolidamento laterale e una politica dei tassi di interesse sempre più accomodante, è stata solo una questione di tempo perché il prezzo del metallo prezioso scoppiasse.